sabato 5 settembre 2009

12. Americani

Quando gli europei sbarcheranno nelle Americhe, credendo di trovarsi nelle Indie, chiameranno gli abitanti del luogo Indiani, ma, se avessero saputo che avevano scoperto l’America, avrebbero chiamato certamente quegli uomini con un nome più appropriato, ossia Americani. La cosa strana è che, quando è apparso chiaro che il Continente scoperto era l’America, i suoi abitanti originari sono stati chiamati ancora Indiani, oppure Nativi, e mai Americani, come sarebbe stato doveroso. La loro storia, davvero straordonaria, comincia con un interrogativo: in che modo l’uomo, partendo dal suo luogo di origine, cioè l’Africa, può aver raggiunto il Continente Americano, che è completamente circondato dalle acque dei mari e degli oceani? Le vie possibili sono due: o attraverso lo stretto di Bering, che separa l’America dall’Asia, oppure attraverso l’arcipelago polinesiano, che separa l’Asia orientale dall’odierno Cile, ossia attraversando, di isola in isola, l’immenso oceano Pacifico. Entrambe le vie sono percorribili solamente con solide imbarcazioni e appaiono estremamente impegnative e pericolose: la prima a causa delle proibitive condizioni climatiche (siamo vicini al polo nord), la seconda a causa delle enormi distanze da coprire.
Gli studiosi oggi ipotizzano che, 30 Kyr fa, lo stretto di Bering fosse interamente ricoperto di ghiaccio e, di conseguenza, attraversabile a piedi da qualche banda di cacciatori. Si dovrebbe però spiegare con quali motivazioni e con quale equipaggiamento una banda di cacciatori avrebbe deciso di avventurarsi in quelle lande sconosciute e gelide, dove, peraltro, le risorse dovevano essere scarsissime. In teoria, comunque, con un po’ di fortuna, l’impresa è da ritenersi possibile per qualche piccolo gruppo isolato, anche se dobbiamo escludere un flusso migratorio in massa. Più agevole è invece spiegare l’attraversamento in tempi successivi, quando l’Eurasia è densamente abitata e la competizione fra le tribù si è fatta dura, condizioni che si realizzano nel Mesolitico, ossia circa 11 Kyr fa. In quel tempo gli uomini possono attraversare agevolmente con le loro barche lo stretto di Bering durante la stagione estiva, quando i ghiacci sono sciolti. Dovrà passare ancora qualche millennio prima che alcuni gruppi dispongano di conoscenze e mezzi idonei a rendere possibile il raggiungimento delle coste dell’odierno Cile attraverso il Pacifico.
Comunque si siano svolti i fatti, una cosa è certa: l’uomo è arrivato in America relativamente tardi e in piccoli gruppi. Inoltre, dal momento che le condizioni geofisiche non consentono un regolare flusso immigratorio, bisogna ammettere che quei pochi coraggiosi pionieri devono essere rimasti relativamente isolati e con un intero Continente a loro completa disposizione. In conseguenza del loro isolamento, questi primi “americani” arretrano alla cultura di banda. La loro condizione ricorda quella del Sapiens in Africa 50 Kyr prima, ma con un’importante differenza: il Sapiens aveva più predatori da cui guardarsi e più competitori. In America l’uomo non solo trova pochi nemici, ma vede dischiudersi dinanzi a sé la prospettiva allettante delle immense distese di terreno, ricche di acque, flora e fauna, e senza padroni, che si rivelano un’inesauribile fonte di cibo e consentono un’elevata natalità. Certo, anche la mortalità dev’essere particolarmente elevata, come si conviene a piccoli gruppi che vivono liberi nell’immensità di una natura incontaminata e selvaggia, ma nondimeno l’incremento demografico è inarrestabile e tale da consentire l’occupazione dell’intero continente americano nell’arco relativamente breve di poche migliaia di anni.
Cinque Kyr fa il Continente Americano è interamente abitato da bande costrette a competere. Rispetto alle popolazioni africane ed euroasiatiche, il ritardo appare davvero grande, ma il tipo di sviluppo è lo stesso: in conseguenza della competizione, le bande si trasformano in clan e i clan in tribù, le tribù si sedentarizzano e fondano i primi villaggi; alcuni villaggi si trasformano in domini e poi in città; infine le città vengono unificate sotto un unico regno o impero e si sviluppano le civiltà. Questo sviluppo è più rapido nell’America centro-meridionale, dove è favorito dalle condizioni climatiche, ma, in ogni caso, non riesce a colmare il grave ritardo accumulato rispetto all’Eurasia e al Nordafrica. Ancora nel 2000 a.C. l’agricoltura non è praticata.
Particolarmente degna di nota è la stabilità culturale del Nordamerica, dove per millenni le popolazioni vivono allo stato tribale e senza avvertire la necessità di unirsi sotto un capo comune. Evidentemente l’equilibrio fra natalità e mortalità e fra andamento demografico e disponibilità di risorse è tale da consentire loro un’esistenza eccezionalmente appagante e tale da non suscitare l’esigenza di migliorare la propria organizzazione, fino a fondare città e regni. Questa loro esistenza felice e pacifica sarà turbata solo dall’arrivo degli europei. Un po’ diversa è la situazione nel Mesoamerica e nel Sudamerica, dove, sia pure con ritardo, intorno al 4000 a.C., inizia ad essere praticata la coltivazione del mais e nascono i primi villaggi, che, col tempo, si organizzano e diventano dominî. Dagli scavi archeologici, risulta che la prima civiltà ad essersi affermata, nella regione andina, è quella olmeca (XIII sec. a.C.), seguita, intorno all’800 a.C., da quella Chavín e da altre, sulle quali le nostre conoscenze sono prossime allo zero.

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